Basilica di San Luca

 

Il Santuario della Madonna di San Luca è un santuario dedicato al culto cattolicomariano che si eleva sul Colle della Guardia, uno sperone in parte boschivo a circa 300 m s.l.m. a sud-ovest del centro storico di Bologna. È un importante santuario nella storia della città di Bologna, fin dalle sue origini meta di pellegrinaggi per venerare la sacra icona della Vergine col Bambino detta "di San Luca". Il santuario è raggiungibile da porta Saragozza attraverso una lunga e caratteristica via porticata, che scavalca via Saragozza con il monumentale e caratteristico Arco del Meloncello (1732) per poi salire ripidamente fino al santuario.

Storia

 

La storia del santuario è assai legata all'icona sacra che vi è custodita all'interno, che diede origine alla leggenda sulla fondazione del santuario stesso e ne determinò la fortuna nei secoli, facendone una meta di pellegrinaggi.

La leggenda di Teocle

La leggenda riguardante l'arrivo dell'icona raffigurante una Madonna col Bambino è raccontata tardivamente nella cronaca di Graziolo Accarisi, giureconsulto bolognese del XV secolo. Essa narra di un pellegrino-eremita greco che, in pellegrinaggio a Costantinopoli, avrebbe ricevuto dai sacerdoti della Basilica di Santa Sofia il dipinto, attribuito a San Luca Evangelista, affinché lo portasse sul "monte della Guardia", così come era indicato in un'iscrizione sul dipinto stesso. Così l'eremita si incamminò in Italia alla ricerca del colle della Guardia e solo a Roma seppe, dal senatore bolognese Pascipovero, che tale monte si trovava nei pressi di Bologna. Arrivato nella città emiliana, fu accolto dalle autorità cittadine e la tavola della Madonna e del bambino venne portata in processione sul monte.

La leggenda, col tempo, si arricchì di particolari dettati, spesso, dalla fantasia o dalle supposizioni dei cronisti.
Il primo fu, nel 1539, Leandro Alberti che diede alle stampe la Cronichetta della gloriosa Madonna di S. Luca del Monte della Guardia di Bologna, dove ipotizzava, come data d'arrivo dell'icona, l'anno 1160.
Il frate Tommaso Ferrari, nel 1604, aggiunse il particolare che l'icona fosse stata ricevuta dall'eremita e portata sul monte dal vescovo bolognese Gerardo Grassi.
Infine, è un falso documento, prodotto probabilmente da don Carlo Antonio Baroni (1647-1704)[1] e datato 8 maggio 1160, a raccontare della consegna dell'icona da parte del vescovo Grassi a due sorelle, Azzolina e Beatrice, figlie di Rambertino Guezi, fondatrici nel 1143 di un eremo sul colle della Guardia consistente di una capanna e una piccola cappella dedicata a San Luca. Quest'ultimo documento falso dava anche un nome al pellegrino: Teocle Kmnya (o Kamnia).

 

Angelica Bonfantini e Santa Maria della Guardia

I documenti ritenuti autentici ci parlano invece di un'altra figura femminile, Angelica Bonfantini, figlia di Caicle di Bonfantino e di Bologna di Gherardo Guezi, che in un documento datato 30 luglio 1192, decise di darsi alla vita eremitica sul Monte della Guardia, con il proposito di costruirvi un oratorio e una Chiesa. Professò così i voti nel ramo femminile dei canonici di Santa Maria di Reno, donando loro dei terreni di sua proprietà sul monte della Guardia, chiedendo in cambio un aiuto nella costruzione della Chiesa e gli alimenti per la Canonica. Tuttavia si riservava l'usufrutto e la rendita dei beni ceduti e di quelli che avrebbe ottenuto dalle offerte dei fedeli.
L'anno seguente, Angelica ottenne l'interessamento del Papa Celestino III, il quale con un documento datato 24 agosto 1193 ordinò al vescovo di Bologna Gerardo di Gisla di porre, su richiesta di Angelica, la prima pietra della «nuova chiesa da costruire sul monte della Guardia», portata direttamente da Roma e benedetta dal Pontefice stesso. Essa fu posata il 25 maggio 1194.

 

La disputa con i canonici renani

Il nuovo santuario presto divenne meta di pellegrinaggio e, con il crescere dell'importanza del luogo, nacque una disputa fra Angelica e il clero di Santa Maria di Reno, riguardo l'interpretazione giuridica dell'atto di donazione del 1192. I canonici renani, infatti, sostenevano che Angelica, in quanto Canonichessa, avrebbe dovuto subordinarsi alla congregazione dei canonici, lasciando loro i diritti relativi alla comunità eremitica, nonché alle offerte e donazioni fatte alla comunità e alla chiesa di Santa Maria della Guardia. Angelica reagì rivendicando i diritti, anche economici, che si era riservata con l'atto di donazione. La controversia crebbe al punto di spingere Angelica a chiedere l'intervento del Papa, dal quale si sarebbe recata di persona per ben sette volte prima che la disputa venisse definitivamente risolta[2][1].
Una prima sentenza a favore di Angelica giunse il 25 febbraio 1195, da parte di Celestino III, alla quale però i renani si opposero. Recatasi a Roma, Angelica ottenne dal papa un'altra bolla, che obbligava il vescovo di Bologna e l'Abate del Convento dei SS. Naborre e Felice a riportare all'obbedienza i Canonici di S. Maria di Reno. Anche grazie agli appoggi nella curia romana di cui godeva il clero renano, esso si rifiutò nuovamente di ottemperare alla bolla, rifacendosi a cavilli giuridici.
Una svolta alla situazione giunse quando il papa, con bolla datata 20 novembre 1197, prendeva sotto la sua protezione «la chiesa e le persone della stessa, con tutti i beni che possiede», in cambio di un tributo annuale di una libbra d'incenso.
Quest'atto, pur ponendo le eremite della Guardia de facto dipendenti solo dal Pontefice, non risolveva il fatto che, de iure, esse fossero ancora il ramo femminile dei canonici di Santa Maria di Reno.
L'8 gennaio 1198 Celestino III moriva e al suo posto venne eletto Innocenzo III, il quale confermò la protezione papale e risolse la diatriba giuridica, stabilendo che l'accordo di Angelica con i renani non era da considerare come professione religiosa ma come semplice promessa. I renani si appellarono nuovamente finché, dopo numerose sconfitte, cercarono l'accordo.
La controversia si chiuse il 13 marzo 1206, con la resa dei terreni, della chiesa e dei relativi diritti ad Angelica da parte dei canonici renani.
Angelica inoltre presentò nel 1210 una lista dei danni economici subiti a causa della vertenza con i canonici renani, fra cui la ragguardevole cifra di 1000 lire di bolognini per mancate oblazioni (il che dà un'idea, se pur probabilmente gonfiata, del quantitativo di offerte che giungevano al santuario).
Dopo la morte di Angelica, avvenuta attorno al 1244, il cardinale Ottaviano Ubaldini affidò la gestione della chiesa ad alcune monache agostiniane provenienti dall'eremo di Ronzano, fra cui suor Balena, suor Dona e suor Marina. Il 28 gennaio 1258 esse ottennero da papa Alessandro IV l'esenzione della chiesa di Santa Maria del Monte della Guardia dal controllo del vescovo di Bologna.[3][4] La controversia si riaprì brevemente nel 1271, ma senza alcun reale esito.

 

L'assoggettamento al monastero di San Mattia

Nel 1278, per volere del cardinale Fra Latino, le monache agostiniane vennero affiliate all'ordine domenicano.[3] Nel 1290 alle monache fu permesso di edificare fuori Porta Saragozza (dove oggi sorge la chiesa di San Giuseppe) un nuovo monastero intitolato a San Mattia, distrutto nel 1357 ma ricostruito dentro le mura nel 1376 (tuttora in via Sant'Isaia). Le due comunità di monache erano governate da un'unica Superiora che risiedeva a San Mattia, mentre il Monte della Guardia era governato da una Vicaria coadiuvata da nove suore, che si avvicendavano ogni due anni. A causa della crescente prosperità del monastero di San Mattia, il 3 marzo 1438 papa Eugenio IV ordinò che Santa Maria della Guardia gli fosse assoggettata.[3]

 

Il "miracolo della pioggia" e il rifacimento quattrocentesco

Dopo anni di decadenza, a causa dell'instabilità politica bolognese e della posizione decentrata, il santuario conobbe nuovamente fortuna grazie al crescente pellegrinaggio sviluppatosi a seguito del cosiddetto "miracolo della pioggia", avvenuto il 5 luglio 1433, quando una processione che portava in città l'icona, fermò le piogge primaverili che rischiavano di danneggiare il raccolto.
Le numerose donazioni da parte di privati e della Compagnia di Santa Maria della Morte (a cui era stata affidata la cura dell'immagine sacra durante la permanenza in città) permisero quindi, nel 1481, di rinnovare completamente l'edificio, costituito da un vano rettangolare, coperto da volte a crociera e dotato di una cappella a pianta poligonale dove era custodita l'icona. Sul lato meridionale rimaneva il monastero dove si trovavano le monache provenienti dal monastero di San Mattia, incaricate alla custodia del santuario.

Ampliamenti successivi

 

Tra il 1603 ed il 1623 venne ampliata e decorata la cappella maggiore, e tra il 1609 ed il 1616 fu ricostruito il campanile. Grazie al lascito testamentario del cardinale legato pontificio Lazzaro Pallavicini, nel 1696 venne aperto un nuovo cantiere, che portò ad un ulteriore ampliamento ed allungamento della chiesa, oltre che all'aggiunta di quattro cappelle laterali.
Dal 1708 i lavori furono diretti da Carlo Francesco Dotti e Donato Fasano, che portarono alla realizzazione di una nuova, più ricca cappella maggiore, adorna di un nuovo altare barocco in marmi policromi, progettato da Giovanni Antonio Ferri e realizzato dai tagliapietre Rangheri. Il cantiere fu terminato nel 1713.

 

L'edificio attuale

 

L'edificio attuale è il risultato di un nuovo intervento, più radicale, deciso nel 1723 e dettato dal contrasto fra la nuova cappella maggiore ed il resto della costruzione. Essa fu demolita e ricostruita sotto la guida dello stesso Carlo Francesco Dotti, seguendo l'idea del frate servita Andrea Sacchi, che prevedeva una pianta ovale. I lavori si svolsero senza turbare l'arrivo di pellegrini: i muri del nuovo complesso, infatti, furono innalzati attorno al vecchio edificio, che fu abbattuto solo a lavori ultimati, nel 1743. Si procedette infine a realizzare la decorazione interna, terminata nel 1748 e l'anno successivo venne nuovamente riadeguata la cappella maggiore. Il 25 marzo 1765, dopo 42 anni di lavori, il cardinale arcivescovo Vincenzo Malvezzi inaugurò il nuovo santuario. La cupola, la facciata e le tribune esterne laterali furono terminate da Giovanni Giacomo Dotti nel 1774, su disegni lasciati dal padre.
Le leggi napoleoniche abolirono, l'11 febbraio 1799, il monastero domenicano di San Mattia e le suore, alle quali era affidato il santuario, dovettero abbandonarlo. A loro successero i domenicani fino al 1824, quando fu assoggettato direttamenre all'arcivescovo dal cardinal Carlo Opizzoni. Da allora il santuario è gestito da sacerdoti diocesiani diretti da un vicario arcivescovile.
Nel 1815 nuovi lavori portarono al rivestimento in marmo della cappella maggiore e alla costruzione di nuovi altari marmorei, su disegni di Angelo Venturoli.
Il santuario di San Luca fu dichiarato monumento nazionale nel 1874 ed ebbe il grado di Basilica Minore da Pio X, nel 1907.
Fra il 1922 e il 1950 si realizzò la decorazione della cupola. Il piazzale antistante fu risistemato tra il1938 e il 1950 per volere del cardinale Giovanni Battista Nasalli Rocca.

Dal 1930 al 1994 è stato attivo un orfanotrofio femminile, ospitato prima nei locali sottostanti il santuario stesso e successivamente trasferito in una nuova costruzione lungo il porticato, tuttora chiamata "le orfanelle".

Dal 1931 al 1976 era possibile raggiungere il santuario mediante una funivia panoramica, oggi dismessa.

 

Il santuario

La statua di S. Marco di CamettiLa statua di S. Marco di Cametti

L'esterno

Lo stile dominante è il barocco, testimoniato da forme e volumi dinamici e curvilinei alternati in continue sporgenze e rientranze. Il corpo dell'edificio è costituito, in massima parte, dal grandissimo tiburio ellittico, spoglio e compatto, sormontato al centro da una grande cupola con lanterna.
La facciata, che non copre completamente le forme retrostanti, è costituita da un avancorpo modellato sulle forme classiche del pronao: un ordine di paraste giganti in stile ionico sorreggono un frontone, sotto il quale si apre un grande arco centrale. Raccordato ai lati della facciata, il porticato si sviluppa con due ali curvilinee che racchiudo il piazzale antistante e che si concludono con due tribune pentagonali ad edicola. Il portale d'ingresso è affiancato dalle statue di San Luca e di San Marco[5] di Bernardino Cametti, eseguite nel 1716 ed in origine collocate nel presbiterio.
Il corpo del vecchio monastero domenicano ed il campanile sono incorporati nel lato meridionale della costruzione.

 
L'inerno del santuarioL'inerno del santuario

L'interno è caratterizzato da una pianta ellittica sulla quale si innesta una croce greca(formata dall'asse centrale e dalle due cappelle maggiori laterali) e presenta un presbiterio rialzato, sulla cui sommità è posta l'icona della Vergine col Bambino. Gli archi principali sono sostenuti da pilastri a fascio composti da tre colonne corinzie giganti.

Fra le opere che si trovano all'interno, vi sono le pale d'altare di:

  • Donato Creti (L'Incoronazione della Vergine, seconda cappella a destra, e La Vergine e i Santi Patroni di Bologna, seconda cappella a sinistra)
  • Guido Reni (La Madonna del Rosario, terza cappella a destra),
  • Guercino (una versione del Cristo che appare alla Madre, sacrestia maggiore)
  • Domenico Pestrini (sacrestia maggiore)

Gli affreschi sono di Vittorio Maria Bigari (cappella maggiore [6]) e di Giuseppe Cassioli(cupola [7]). Gli stucchi sono opera di Antonio Borrelli, Giovanni Calegari, con le statue di Angelo Gabriello Piò [8].

 

Il porticato

La via che, inerpicandosi per il colle della Guardia, porta al santuario, fu inizialmente ciottolata nel 1589 dal governo cittadino. L'abitudine dei pellegrini di appendere immagini con i Misteri del Rosario agli alberi lungo il percorso, indusse nel XVII secolo la vicaria Olimpia Boccaferri a costruire 15 cappelle.[9]

Con il crescere dell'afflusso di pellegrini, si decise di costruire il lunghissimo portico, per proteggere i pellegrini dalla pioggia. Un primo modesto progetto fu redatto da Camillo Saccenti nel 1655, ma la scarsità di risorse economiche fece abbandonare il progetto, ripreso nel 1673 da un gruppo di privati (fra cui il cappellano dell'Ospedale per i pellegrini di San Biagio, Don Lodovico Zenaroli, e il marchese Girolamo Albergati, confratello di Santa Maria della Morte) che crearono un comitato per la raccolta dei fondi necessari alla costruzione. Alla sua costruzione parteciparono cittadini di ogni classe dal 1674 al 1793, sotto la direzione dell'architetto Gian Giacomo Monti e, alla sua morte, furono completati da Francesco Monti Bendini e lo stesso Carlo Francesco Dotti, che progettò l'Arco del Meloncello nel 1721.[9]

Il portico consta di 666 archi e 15 cappelle: con i suoi 3,796 km pare essere il portico più lungo al mondo.[10]
Secondo alcuni osservatori [11] non sarebbe casuale il fatto che esso sia composto esattamente da 666 archi: il numero diabolico (cfr. Apocalisse, 13, 18) sarebbe stato utilizzato per indicare che il porticato simboleggia il "serpente", ossia il Demonio, sia per la sua forma sia perché - terminando ai piedi del santuario - ricorda la tradizionale iconografia del Diavolo sconfitto e schiacciato dalla Madonna sotto il suo calcagno (cfr. Genesi, 3, 15).

Il culto mariano, fra leggenda e realtà

Il miracolo della pioggia

Nel 1433, durante l'episcopato del beato Nicolò Albergati, la primavera fu estremamente piovosa, minacciando di rovinare i raccolti. Per scongiurare la prospettiva di una carestia, il giureconsulto Graziolo Accarisi (autore della sopracitata cronaca sulla leggenda riguardo l'arrivo dell'icona a Bologna) promosse la discesa dell'icona della Madonna col Bambino per implorare davanti all'immagine attribuita a San Luca la grazia per la fine delle piogge; ciò fece ad imitazione di quanto facevano i fiorentini, che si rivolgevano sempre alla Madonna di Impruneta, pure attribuita a San Luca. Quando l'icona entrò in città il 5 luglio, la pioggia cessò; si fece allora una grande festa con una processione di tre giorni per la città, poi si riaccompagnò l'immagine al santuario. Per voto cittadino, da allora queste celebrazioni furono ripetute ogni anno.

 

Le celebrazioni

Il trasporto dell'immagine, durante le annuali discese in città, fu affidato ai Padri Gesuati di San Girolamo e Sant'Eustachio, ordine soppresso nel 1669 da Clemente IX, mentre la Confraternita di Santa Maria della Morte ne aveva la responsabilità durante la permanenza in città. A partire dal 1629 la Confraternita ebbe anche l'incarico del trasporto dal monte, con precise regole stabilite dalle monache di San Mattia. L'immagine, proveniente dal colle della Guardia, scendeva in città per essere portata nell'ex chiesa di San Mattia, dove le suore domenicane la addobbavano di fiori e gioielli. Da lì si recava nella chiesa di Santa Maria della Morte (oggi scomparsa), per poi trasportarla in diverse chiese cittadine, fino a giungere, alcuni giorni dopo, presso la basilica di San Petronio.
Nel 1476 le celebrazioni per la Madonna di San Luca vennero spostate alla domenica delle Rogazioni Minori dell'Ascensione, mentre nel 1718 il cardinale Giacomo Boncompagni stabilì di anticiparle al sabato. Le leggi napoleoniche soppressero, nel 1796, la compagnia di Santa Maria della Morte e nel 1799 il monastero di San Mattia: da allora l'icona viene portata nella cattedrale di San Pietro.

Tuttora le celebrazioni iniziano con la discesa dell'immagine il sabato precedente la quinta domenica dopo Pasqua. L'icona viene portata a Bologna attraverso il porticato di San Luca da una processione di fedeli e, passando per le strade del centro, raggiunge la cattedrale, accompagnata dai doppi suonati dai campanili vicini al corteo. Il mercoledì precedente l'Ascensione, l'immagine viene portata processionalmente alla basilica di San Petronio, dal cui sagrato si impartisce dal 1588 una solenne benedizione alla città.
Dopo che la venerata immagine è rimasta in città una settimana, la si riaccompagna al santuario il giorno dell'Ascensione.

Solamente due volte non fu possibile celebrare la discesa della Madonna: nel 1849, durante l'occupazione austriaca del colle e nel 1944, durante la Seconda Guerra Mondiale.

 
Icona della Madonna di San LucaIcona della Madonna di San Luca

L'icona

Centro della devozione popolare, l'icona raffigura una Madonna col Bambino secondo la classica iconografia orientale di tipo odighítria o hodigitria, cioè di Colei che indica la Via, considerata la "Madonna dei viaggiatori".
La redazione attualmente visibile dell'icona, forse collocabile tra la fine dell XII e l'inizio del XIII secolo, sembra attribuibile ad una mano occidentale, ma certamente appartenente ad un clima culturale bizantineggiante, come del resto gran parte della cultura figurativa del periodo[12].
L'icona misura 65 x 57 cm ed ha uno spessore di circa 2 cm. È eseguita a tempera e foglia d'argento, su tela di lino applicata ad una tavola centrale di pioppo, a cui sono aggiunte due tavole di testa in olmo e castagno.
Secondo la consolidata iconografia, la Madonna, rappresentata a mezzo busto, tiene in braccio Gesù benedicente. La Vergine porta una veste di colore blu-verde, sotto la quale si intravede una sottoveste rossa. I tratti del viso sono allungati, le dita della mano affusolate. Il Bambino, dalla testa piccola rispetto al corpo, ha il braccio destro atteggiato nel gesto di benedizione, mentre la mano sinistra è chiusa a pugno. La tunica del Bambino è dello stesso colore rosso della sottoveste della Vergine. Sullo sfondo si notano filari di piccole foglie d'edera, inseriti l'uno nell'altro ed intervallati da piccole perle. Due fasce laterali di circa 4 cm decorate con motivi floreali contornano la tavola, mentre la parte superiore appare tagliata.
A seguito di studi anche radiografici, si è appurata l'esistenza di un altro dipinto, più antico, sotto l'immagine oggi visibile[12]. Lo stile, in questo caso, è bizantino e presenta numerose affinità con le copie superstiti della Vergine in S. Sofia a Costantinopoli datate presumibilmente fra il X e l'XI secolo. La presunta origine orientale del primo dipinto, inoltre, è supportata dall'uso dell'indaco per il colore della veste della Vergine, in uso in Asia Minore, ma non in Italia[13].
Nell'immagine originaria, la Vergine presenta un setto nasale più sottile e la narice piccola e rialzata; la bocca ha entrambe le labbra carnose, mentre l'occhio appare più grande e allungato. Il Bambino, invece, risulta meno proporzionato, più solido e tornito, nel gesto enfatico di benedizione, pare alla greca, al contrario dell'immagine attuale, dove è alla latina[12].
Nel 1603 la Madonna fu incoronata dall'arcivescovo Alfonso Paleotti. Dal 1625 il dipinto è ricoperto da una lastra d'argento che lascia scoperti solo i volti, opera di Jan Jacobs di Bruxelles. Nel 1857 ricevette un prezioso diadema da Pio IX[14].

Sport

Ciclismo

La strada che corre parallela al porticato di San Luca, nel tratto in salita, è stata spesso affrontata da corse ciclistiche. In particolare, negli ultimi anni costituisce la difficoltà finale del Giro dell'Emilia, che la percorre per quattro volte. Nel 1956 invece vi si è svolta una cronoscalata del Giro d'Italia vinta da Charly Gaul, nel 1984 l' arrivo di una tappa in linea del Giro d'Italia vinta da Moreno Argentin, nel 2009 il Giro d'Italia del centenario ha toccato San Luca in occasione della 14a tappa.

La salita inizia al Meloncello (55 m s.l.m.): da qui al santuario sono circa 2 km, con una pendenza media del 10,8% e massima intorno al 18%[15]. Il tratto più ripido si incontra a metà salita, poco dopo il punto in cui la strada passa sotto il colonnato (la curva nota come delle orfanelle in quanto antistante a un ex orfanotrofio femminile). La quota di arrivo è di 270 m s.l.m. mentre il dislivello è di 215 m.

Si può salire al santuario anche per la strada che sale dal lato opposto del colle (via Casaglia [16]). Questo versante è più lungo, ma decisamente più facile.

 

Podismo

Dal 1977 si corre la gara podistica internazionale su strada Casaglia-San Luca che, risalendo il colle della Guardia per la via di Casaglia, raggiunge il santuario e ridiscende il colle fiancheggiando il porticato storico. La gara, disputata di notte, copre un percorso di 9.2 km, con un dislivello massimo in salita di 376 m s.l.m. e in discesa di 385 [16].

Note