Canali di Bologna

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                  Canali e corsi d'acqua bolognesi

 

Il sistema di canali di Bologna è stato creato allo scopo di collegare la città con il fiume Po e per fornire acqua ed energia meccanica agli opifici della città. La rete idrica bolognese fu sviluppata gradualmente tra il XII ed il XVI secolo, a partire dalle due opere fondamentali, ovvero le chiuse di San Ruffillo e di Casalecchio, rispettivamente sul torrente Savena e sul fiume Reno, inizialmente resesi necessarie per aumentare il numero dei mulini da grano e per alimentare il fossato della seconda cerchia di mura della città (Cerchia dei Mille[1].

Bologna sorge ai piedi di colline, e presenta un dislivello, entro l'antica cerchia muraria, da sud a nord verso la pianura, di circa 39 metri (76 m s.l.m. a Porta D'Azeglio e 37 m s.l.m. al Porto Navile [2]): tale pendenza favorisce un rapido passaggio delle acque, adatto anche ad azionare le pale di mulini, che nel Medioevo sorgevano numerosi lungo i canali.

canali principali, ancora oggi esistenti, seppure quasi completamente interrati nel loro percorso cittadino, sono:

canale Navile creato per la navigazione tra Bologna (con il suo Porto Navile) ed il fiume Po
canale di Reno il cui scopo principale era l'approvvigionamento di acqua per gli altri canali
canale di Savena approvvigionamento di acqua per i canali
canale Cavaticcio forza motrice per mulini ad acqua
canale delle Moline forza motrice per mulini ad acqua

 

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Il Canale delle Moline, dove confluiscono le acque del Canale di Savena e del torrente Aposa, nel centro di Bologna.

 

Oltre a questi canali è presente in città un torrente naturale, anch'esso quasi completamente interrato e collegato agli altri canali: l'Aposa. I principali contributori di questo sistema idrico sono il torrente Savena ed il Reno (rispettivamente a est e a ovest della città), mentre per la parte cittadina vi sono anche numerosi rii fra cui Meloncello, Ravone, Vallescura e Grifone i cui tracciati - che scendono verso la città dalla parte collinare del territorio comunale - si sono nel tempo mescolati a quello del citato Aposa e degli altri canali [3]. Inoltre tramite una condotta interrata di oltre 18 km i Romani avevano creato un acquedotto ancora oggi parzialmente utilizzato che prelevava l'acqua da un pozzo nel fiume Setta e lo conduceva in una cisterna nella valle del Ravone, fuori Porta San Mamolo [4].

La copertura dei canali avvenne progressivamente a partire dagli anni '50 sotto l'amministrazione Dozza, nell'ambito del disegno di ricostruzione, bonifica e riqualificazione urbanistica portata avanti nel Dopoguerra e che interessò tutta la città.


Gestione delle acque

Durante il Medioevo le vie d'acqua erano più efficaci ed economiche rispetto a metodi di spostamento via terra. I canali di Bologna rispondevano a tre principali necessità:

  • Fornire energia per azionare i mulini ad acqua (nel 1300 esistevano già svariate decine di mulini, che divennero centinaia XVII secolo [5])
  • Servire da mezzo di collegamento e trasporto per il commercio (attraverso il collegamento con il Po, la Valle Padusa e l'Adriatico)
  • Raccogliere, canalizzare e regolare le acque dei rii e dei torrenti appenninici, la cui portata era dipendente dalle stagionalità, fatto che nuoceva all'economia cittadina.

Anche grazie a queste opere Bologna poté espandersi (raggiungendo circa i 50-60.000 abitanti) e competere verso la fine del XIII secolo con le maggiori città europee; al pari con Milano, Bologna era allora il maggior centro industriale tessile d'Italia.

La sete d'acqua di Bologna era tale che si aumentò la portata del Reno (e quindi dei canali) con un'opera ambiziosa: il Comune di Bologna sbarrò, all'inizio del XIV secolo, il torrente Dardagna per dirottarlo, mediante un canale artificiale (il "naviglio del Belvedere"), nel suo affluente Silla (da cui il nome della localià Poggiolforato, "monte forato" [6]). Questa opera, anche se non se ne conosce più con precisione il funzionamento, permetteva anche di trasportare il legname dalle foreste di Lizzano in Belvedere e Madonna dell'Acero fino alla chiusa di Casalecchio. La perdita di portata del Dardagna (affluente del Panaro) suscitò le ire dei modenesi e diede adito a lunghi contenziosi.

Economia

Grazie ad una gestione delle acque esemplare e innovativa Bologna poté sviluppare una fiorente industria, il cui punto di forza erano i mulini ad acqua. Verso il 1272 fu introdotta da Lucca a Bologna la lavorazione della seta e ben presto fiorì in città una particolare industria della filatura, che con migliorie tecniche permetteva di produrre seta di ottima qualità a costi minori. Il "mulino alla bolognese" (che migliorava le macchine utilizzate a Lucca mediante una ruota idraulica ed un incannatoio meccanico) permetteva di ottenere filati più uniformi e resistenti rispetto a quelli prodotti a mano o con altri mezzi meccanici. La tecnologia di questi mulini fu custodita molto segretamente per timore della concorrenza: per questo motivo vi sono pochissimi disegni che descrivono con precisione il loro funzionamento. Solamente alcuni disegni di Heinrich Schickhardt (1599) e Antonio Zonca (1607) riproducono il mulino alla bolognese, anche se in maniera incompleta.

Secondo numerosi storici della rivoluzione industriale il mulino da seta alla bolognese rappresenta un importante modello di sistema protoindustriale che permise a Bologna di commercializzare filati in tutta Europa attraverso il Canale Navile [1].

La flotta bolognese raggiunse dimensioni ragguardevoli, al punto da sconfiggere quella della Serenissima: nel 1271 fu combattuta una battaglia navale alla Polesella, nelle acque del Po di Primaro, in cui i bolognesi (al comando del generale genovese Lanfranco Malucelli) sconfissero i veneziani (guidati dal nipote del DogeIacopo Contarini), ottenendo dazi favorevoli al commercio bolognese [7].

La seta fu a lungo il maggiore settore economico bolognese: nel XVI secolo il 40% della popolazione viveva grazie alla seta, e le corporazioni delle arti e mestieri si dividevano in due settori, l'Opera bianca (che impiegava solo sete locali), e l'Opera tinta (che produceva organzino e drappi). Nel