Banda della uno bianca

Con il nome Banda della Uno bianca si definisce un'organizzazione criminale che, a partire dal 1987 e sino all'autunno del 1994, commise 103 azioni criminali[1], provocando la morte di 24 persone ed il ferimento di altre 102[2].

Il nome deriva dal tipo di auto generalmente utilizzata per le azioni criminali; una Fiat Uno generalmente di colore bianco, che essendo un tipo di veicolo molto diffuso in quegli anni, e data la facilità con la quale si poteva rubare, risultava difficile da individuare per le forze dell'ordine.

 

Una Fiat Uno di colore bianco, il modello d'auto più spesso impiegato dalla banda criminale.

Componenti della banda

Roberto Savi: (Forlì, 19 maggio 1954) Insieme al fratello Fabio, è l'unico componente sempre presente nelle azioni criminali. Poliziotto presso la questura di Bologna, al momento dell'arresto rivestiva il grado di assistente capo e ricopriva il servizio di operatore radio nella centrale operativa. Da giovane milita come attivista nell'organizzazione del Fronte della gioventù[3].

Nel 1976 entra in Polizia e prende servizio a Bologna. Per molti anni svolge la funzione di operatore in volante, nel 1992 viene poi trasferito alla centrale operativa per aver rasato a zero un giovane ragazzo trovato in possesso di sostanza stupefacente, dopo una notte di continue vessazioni e umiliazioni insieme ad alcuni colleghi.

Roberto Savi possedeva nel garage di casa un piccolo arsenale di armi, regolarmente registrate, fra cui due Beretta AR 70[4], calibro 222 Remington, versione civile del fucile AR 70/90 calibro 5.56 NATO in uso alle Forze armate e un fucile semiautomatico calibro 5,56.

Nelle prime fasi delle indagini, la procura dispose che venisse compilata una lista dei cittadini dell'Emilia-Romagna possessori di AR 70/90, da cui risultarono una trentina di individui; da questa lista emerse che anche Roberto Savi ne possedeva due. Savi, poiché l'arma non era conosciuta dalla polizia bolognese, portò ai colleghi, per facilitare il lavoro della scientifica, uno dei suoi due fucili, quello nuovo che non aveva sparato[5]. Nessuno mai andò a controllare l'altro fucile che deteneva in casa.[6]

È stato il primo componente della banda in ordine di tempo ad essere arrestato, la sera del 21 novembre 1994, mentre si trovava in questura a Bologna.

Durante il processo la moglie, che sapeva essere coinvolto nelle vicende della Uno bianca, ma che non lo ha mai denunciato, lo definisce come un uomo strano ed aggressivo, di carattere molto taciturno e schivo, non frequentava molte persone a parte i fratelli e passava molto del suo tempo a giocare con i videogiochi. Diverse volte le aveva puntato la pistola contro per minacciarla. Ai processi Savi stupì tutti per l'estrema freddezza con cui, con tono beffardo e provocante, parlava dei reati più atroci da lui commessi; alle domande non rispondeva "sì" o "no" ma "positivo" e "negativo".

Il 3 agosto 2006 ha fatto richiesta di concessione del provvedimento di grazia al tribunale di Bologna[7]. La domanda è stata ritirata il 24 agosto dallo stesso Savi a seguito del parere sfavorevole espresso dal procuratore generale bolognese Vito Zincani. Il 1 ottobre 2008 si è risposato con una detenuta olandese del carcere di Monza[8].

Fabio Savi: (Forlì, 22 aprile 1960) Fratello di Roberto, co-fondatore della banda. Anche lui come il fratello fa domanda per entrare in polizia ma un difetto alla vista gli pregiudicherà questa carriera. Dai 14 anni svolge molti lavori saltuari, ha un carattere spavaldo e aggressivo. Insieme a Roberto è l'unico componente presente a tutte le azioni criminali della banda. Fabio viene arrestato qualche giorno dopo il fratello a 27 chilometri dal confine con l'Austria, mentre cercava di passare la frontiera, bloccato da una volante della Polizia stradale. Faceva il carrozziere e il camionista e conviveva a Torriana con una ragazza rumena, Eva Mikula, le cui testimonianze si riveleranno decisive nella risoluzione delle indagini. Dopo la condanna all' ergastolo venne trasferito nel carcere di Sollicciano, a Firenze, e in seguito in quello di Fossombrone. Nel 2001 ha concesso un'intervista al programma di RaiTre Storie Maledette, durante la quale ha dichiarato che il movente dell'attività criminale della banda era solo la ricerca di soldi[9].

Alberto Savi: (Cesena, 19 febbraio 1965) fratello minore di Roberto e Fabio. Assieme ai fratelli forma la struttura principale della banda. Fa il poliziotto come Roberto, al momento dell'arresto presta servizio presso il Commissariato di Rimini. Debole di carattere, subisce la personalità dei fratelli maggiori.

Pietro Gugliotta: (Catania, 1960). Non ha partecipato alle azioni omicide, e per questo è stato condannato alla pena di 18 anni di reclusione. Anche lui poliziotto, svolge la funzione di operatore radio alla questura di Bologna assieme all'amico Roberto Savi. È stato scarcerato nel 2008 grazie all'indulto e alla legge Gozzini.[10]

Marino Occhipinti: (Santa Sofia, 25 febbraio 1965) membro minore della banda, ha però preso parte a un assalto a un furgone della Coop di Castel Maggiore, il 19 febbraio 1988, durante il quale morì una guardia giurata e per questo è stato condannato alla pena dell'ergastolo. Anche lui poliziotto presso la squadra mobile di Bologna, al momento dell'arresto, avvenuto il 29 novembre 1994, era vicesovrintendente della sezione narcotici della Squadra mobile. In una recente intervista, Marino Occhipinti, ha chiesto perdono ai parenti dei famigliari della guardia giurata uccisa.[11].

Luca Vallicelli: poliziotto, al momento dell'arresto, avvenuto il 29 novembre 1994, è agente scelto presso la sezione polizia stradale di Cesena. Membro minore della banda, partecipa solamente alle prime rapine della banda, che si concludono senza omicidi. Patteggia la pena di tre anni e otto mesi ed è attualmente un uomo libero, ancorché radiato con infamia dalle forze dell'ordine[12].

Le principali azioni criminali 

  • 1987

La banda cominciò a compiere i suoi crimini dal 1987, dedicandosi nelle ore notturne alle rapine dei caselli autostradali lungo l'Autostrada A14. Il 19 giugno 1987 la banda mise a segno il primo colpo con una rapina al casello di Pesaro, consumata a bordo della Fiat Regata grigia di proprietà di Alberto Savi alla quale avevano apposto una targa falsa; il bottino ammontava a circa 1.300.000 lire.

Subito dopo il primo colpo la banda mette a segno 12 rapine ai caselli in circa 2 mesi di tempo. Dal settembre 1987 la banda dei Savi decise di dedicarsi ad altri obiettivi più redditizi: assaltarono banche, distributori di benzina, supermercati e uffici postali.

Nell'ottobre 1987 organizzarono un tentativo di estorsione nei confronti di un autorivenditore riminese Savino Grossi, che aveva un debito nei confronti di Fabio Savi per dei lavori non pagati. I Savi inviarono una lettera a Grossi indicando la procedura per il pagamento del riscatto. Il rivenditore fece finta di cedere al ricatto ma aveva già avvertito il commissariato di Rimini. Il 3 ottobre Savino Grossi si recò in autostrada con la sua autovettura nascondendo nel suo portabagagli un agente di Polizia, mentre altre autovetture del commissariato di Rimini lo seguivano a breve distanza.

A questa operazione partecipò l'ispettore Baglioni, colui che nel 1994 con le proprie indagini consentirà di scoprire i componenti della banda

Grossi venne contattato dagli estorsori e si fermò nei pressi di un cavalcavia poco prima del casello di Cesena. Con l'intervento della Polizia, scaturì un conflitto a fuoco durante il quale rimase gravemente ferito il sovrintendente Antonio Mosca, che morirà nel 1989 dopo un lungo periodo di sofferenza[13]. L'omicidio di Mosca è il primo della lunga serie che commetteranno i componenti della banda[14].

  • 1988

Il 30 gennaio viene ucciso durante una rapina ad un supermercato, Giampiero Picello, guardia giurata in servizio a Rimini[15].

Il 20 febbraio resta ucciso Carlo Beccari, anch'egli guardia giurata, in servizio a Casalecchio di Reno in un supermercato. Nella rapina al furgone portavalori rimase ferito anche Francesco Cataldi, collega di Beccari[16].

Il 20 aprile 1988, vengono uccisi due carabinieri, Cataldo Stasi e Umberto Erriu, mentre si trovavano in un parcheggio a Castel Maggiore, nei pressi di Bologna, dopo che gli stessi avevano fermato l'auto dei Savi[17][18]. Per questo omicidio sono stati accertati depistaggi da parte di un carabiniere, al fine di ottenere la taglia sugli assassini[19][20].

  • 1989

Nel 1989 viene ucciso durante una rapina ad un supermercato di Corticella Adolfino Alessandri, pensionato di 52 anni che si trovò ad essere testimone oculare della rapina e venne crivellato di colpi[21]

  • 1990

Nel 1990 vengono complessivamente uccise 6 persone. A Bologna in via Mazzini il 15 gennaio viene ferito gravemente Giancarlo Armorati, pensionato, durante una rapina ad un ufficio postale che causò altri 45 feriti. Morirà un anno dopo per le ferite riportate.

Il 6 ottobre venne ucciso Primo Zecchi, la cui colpa fu quella di annotare il numero di targa della macchina dei criminali[22][23].

Il 23 dicembre 1990 la banda apre il fuoco contro le roulotte che compongono il campo nomadi di Bologna in via Gobetti, provocando 2 vittime (Rodolfo Bellinati e Patrizia Della Santina) e alcuni feriti[24].

Il 27 dicembre vengono uccise due persone a Bologna in due diversi episodi di violenza. Cade prima Luigi Pasqui, commerciante di 50 anni, ucciso durante una rapina ad un distributore di Castelmaggiore mentre tentava di dare l'allarme. Pochi minuti dopo uccidono a Trebbo di Reno Paride Pedini, che si era avvicinato alla Uno bianca appena abbandonata con le portiere aperte[25].

Il 1991 e la strage del Pilastro

Il 4 gennaio 1991 intorno alle 22, presso il quartiere Pilastro di Bologna, una pattuglia dell'Arma dei Carabinieri cadde sotto le pallottole del gruppo criminale[26]. La banda si trovava in quel luogo per caso, essendo diretta a San Lazzaro di Savena, in cerca di un'auto da rubare.

All'altezza delle Torri, in via Casini, l'auto della banda fu sorpassata dalla pattuglia dall'Arma. La manovra fu interpretata dai criminali come un tentativo di registrare i numeri di targa e pertanto decisero di liquidare i carabinieri.

Dopo averli affiancati, Roberto Savi esplose alcuni proiettili verso i militari, sul lato del conducente Otello Stefanini[27]. Nonostante le ferite gravi subite, il militare cercò di fuggire, ma andò a sbattere contro dei cassonetti della spazzatura. In breve tempo l'auto dei Carabinieri fu investita da una pioggia di proiettili[28]. Gli altri due militari, Andrea Moneta e Mauro Mitilini, riuscirono a lasciare l'abitacolo ed a rispondere al fuoco, ferendo tra l'altro Roberto Savi. La potenza delle armi utilizzate dalla banda però non lasciava speranze ed entrambi i carabinieri rimasero sull'asfalto. I tre furono finiti con un colpo alla nuca.

Il gruppo criminale si impossessò anche del foglio di servizio della pattuglia e si allontanò dal luogo del conflitto a fuoco. La Uno bianca coinvolta nel massacro fu abbandonata a San Lazzaro di Savena nel parcheggio di via Gramsci ed incendiata; uno dei sedili era sporco del sangue di Roberto Savi, rimasto lievemente ferito all'addome durante il conflitto a fuoco. Il fatto di sangue fu subito rivendicato dal gruppo terroristico "Falange Armata". Tale rivendicazione fu però ritenuta inattendibile, in quanto giunta dopo il comunicato dei mass media. La strage rimase impunita per circa quattro anni. Gli inquirenti seguirono delle piste sbagliate, che li portarono ad incriminare soggetti estranei alla vicenda[29][30][31][32].

In seguito, saranno gli stessi assassini a confessare il delitto durante il processo[33].

Il 20 aprile venne ucciso a Borgo Panigale Claudio Bonfiglioli, benzinaio di 50 anni, vittima di una rapina[34].

Il 2 maggio, in un'armeria di Bologna, vengono uccisi Licia Ansaloni, titolare dell'esercizio, e Pietro Capolungo, carabiniere in pensione[35]. Durante questa rapina, una donna vede Roberto Savi fuori dall'armeria, e dopo la rapina fornisce un identikit agli investigatori. Quando viene mostrato al marito della Ansaloni, questi dichiara che potrebbe somigliare molto a Roberto Savi, suo cliente abituale, poliziotto di Bologna. Nessuno però tra gli investigatori, collega realmente Savi al fatto di sangue[36].

Il 19 giugno perde la vita a Cesena Graziano Mirri, benzinaio, ucciso durante una rapina nel suo distributore[37].

Il 18 agosto vengono uccisi in un agguato a San Mauro Mare Ndiaj Malik e Babou Chejkh, due operai senegalesi, mentre un terzo, Madiaw Diaw, viene ferito. L'aggressione non è a scopo di rapina, o dovuta alla volontà di eliminare i testimoni di un reato, ma è motivata dalle convinzioni razziste dei membri della banda. Poco dopo il duplice omicidio l'auto della banda taglia la strada ad una Fiat Ritmo con a bordo alcuni giovani, che inveiscono contro il guidatore della Uno Bianca per la manovra azzardata. Dall'auto della banda vengono esplosi colpi di arma da fuoco contro le persone a bordo della Ritmo, che però rimangono illese[38].

Gli ultimi anni 

  • 1992

Nel 1992 non si registrano omicidi, ma la banda si rende protagonista di 4 rapine in banca e una in un supermercato[39].

  • 1993

Il 24 febbraio 1993 la banda si rese responsabile dell'omicidio di Massimiliano Valenti[40][41], un ragazzo di 21 anni che aveva osservato un cambio macchina della banda dopo una rapina in banca. La banda dapprima sequestrò il ragazzo e lo trasportò in una zona isolata dove fu sottoposto ad una vera e propria esecuzione[42]. Il corpo di Valenti venne ritrovato in un fossato nel comune di Zola Predosa. Dall'autopsia, sul volto di Valenti, emersero dei fori di proiettili sparati dall'alto verso il basso[43].

Il 7 ottobre viene ucciso a Riale Carlo Poli, elettrauto[44].

  • 1994

Nel 1994 la banda intensificò la sua attività criminale verso gli istituti di credito, rapinandone complessivamente 9 durante l'anno[45].

Il 24 maggio del 1994, viene ucciso il direttore della Cassa di Risparmio di Pesaro Ubaldo Paci, freddato mentre stava aprendo la sua filiale alle otto e un quarto di mattina[46][47].

Le indagini 

Agli inizi del 1994 il magistrato di Rimini Daniele Paci costituì un pool di investigatori per risolvere il caso, dopo 7 anni di omicidi e crimini ancora senza un colpevole reale, nonostante un grande numero di arresti nel corso degli anni precedenti, poi dimostratisi errati e fuorvianti[48][49][50].

Il pool inizialmente non riuscì ad ottenere molto, solo la ricostruzione di un identikit di un bandito, registrato a volto scoperto durante una rapina in banca il 3 marzo 1994.

Verso la metà del 1994 il pool dei magistrati riminesi fu sciolto e la direzione delle indagini consegnata ad un pool di magistrati a Roma.

Furono però due poliziotti, l'ispettore Baglioni e il sovrintendente Costanza, a seguire la pista giusta. I due poliziotti, facenti parte della Questura di Rimini, avevano collaborato con l'appena sciolto pool di magistrati riminesi. Chiesero alla procura che il lavoro del pool riminese non venisse perso ed avviarono delle indagini autonome volte a scoprire i componenti della banda della Uno bianca[51].

Il procuratore di Rimini diede loro carta bianca, fu così che Baglioni e Costanza cominciarono a dedicarsi praticamente a tempo pieno alle loro indagini. Misero in atto appostamenti, ricerche, controlli agli istituti di credito rapinati e cercarono di capire le modalità operative della banda. In Baglioni e Costanza cominciarono a sorgere dei sospetti che i componenti della banda potessero essere persone in seno alle forze dell'ordine, vista l'abilità dimostrata con le armi da fuoco e la apparente inafferrabilità del gruppo. In quel periodo eseguirono un minuzioso lavoro di ricostruzione dei delitti, confrontando date, orari, luoghi ed identikit. Baglioni e Costanza fecero poi una considerazione che si rivelerà fondamentale: i banditi conoscevano troppo bene le abitudini dei dipendenti della banche assaltate; ciò significava che svolgevano una puntigliosa opera di documentazione e di controllo prima di compiere la rapina. Inoltre i due poliziotti si chiedevano come facessero ad evitare tutti i posti di blocco ed a conoscere così bene tutte le vie di fuga lungo le strade secondarie. Decisero quindi di comportarsi come loro, passando le loro giornate ad appostarsi davanti ad istituti di credito, ubicati nelle zone che i criminali preferivano colpire, in attesa di notare qualche persona sospetta[52].

Il 3 novembre 1994 Fabio Savi commise un passo falso, eseguì un sopralluogo presso una banca a Santa Giustina nel riminese, davanti alla quale si trovavano appostati Baglioni e Costanza. Savi giunse sul posto con una Fiat Tipo bianca, che però esibiva una targa irriconoscibile per la sporcizia. Ciò destò la curiosità degli investigatori presenti sul posto, che confrontarono la fisionomia del conducente con quella rimasta impressa nei filmati ripresi nelle banche rapinate. Ne riscontrarono una vaga somiglianza e pertanto decisero di seguirlo. Fabio Savi li condusse infine presso la sua abitazione, a Torriana. Da questo momento le indagini subirono uno sviluppo sempre più nitido, fino ad acclarare le responsabilità dei criminali a cominciare dall'arresto di Roberto Savi[53].

Condanne 

I componenti della banda sono stati tutti arrestati. I processi a carico di essa si sono conclusi il 6 marzo 1996 con la condanna a tre ergastoli per ciascuno dei fratelli Savi, un ergastolo a Marino Occhipinti, 28 anni di carcere per Pietro Gugliotta trasformati poi in 18. Luca Vallicelli, componente minore della banda, patteggia una pena di 3 anni e 8 mesi.

Dopo 14 anni di reclusione, nell'agosto 2008, Pietro Gugliotta è stato messo in libertà grazie all'avvio dell'indulto e alla legge Gozzini.

Nell'ambito del processo alla banda, venne inoltre stabilito che lo Stato versasse ai parenti delle 24 vittime 19 miliardi di Lire[54].

Le richieste di Fabio Savi e lo sciopero della fame 

Il 24 settembre 2009, Fabio Savi dopo circa un mese di sciopero della fame presso il carcere di Voghera, viene ricoverato all'ospedale dell'omonima città per motivi clinici. La motivazione dello sciopero sarebbe la richiesta da parte di Savi di essere trasferito in un carcere più vicino alla sua famiglia e la possibilità di lavorare per provvedere alla stessa[55].

Il 4 gennaio 2010 viene trasferito nel carcere di massima sicurezza di Spoleto.

Il permesso premio per Marino Occhipinti 

Il 30 marzo 2010, con un decreto motivato del tribunale di sorveglianza, Marino Occhipinti dopo 16 anni di detenzione usufruisce di un permesso premio di 5 ore per partecipare a una Via crucis a Sarmeola di Rubano, nel Padovano assieme ad altri detenuti e accompagnato da operatori sociali.[56]

La richiesta di scarcerazione da parte di Alberto Savi 

Il 23 ottobre 2010 Alberto Savi chiede di poter uscire dopo 16 anni scontati in carcere[57].

Note 

  1. ^ Elenco delle azioni criminali
  2. ^ La Banda della «Uno bianca» implora il perdono Il Giornale 5 gennaio 2006
  3. ^ QUANTI ERRORI CON LA UNO BIANCA ... La Repubblica 21 aprile 1995
  4. ^ Dov'è la nostra tragedia? La Repubblica febbraio 2001
  5. ^ blu Notte - Il Caso della Uno Bianca
  6. ^ Per incredibile decisione dei magistrati impegnati nelle indagini, nessuna verifica balistica fu mai disposta sulle armi repertate come insistentemente chiesto dall'allora vice-capo della Squadra Mobile di Bologna, Giovanni Preziosa.(considerazione a cura di Massimiliano Mazzanti op. cit. in bibliografia).
  7. ^ Uno Bianca, Roberto Savi chiede la grazia Corriere della Sera 4 agosto 2006
  8. ^ Roberto Savi si risposa in carcere La Repubblica 1 ottobre 2008
  9. ^ «Iniziò per scherzo, finì con 24 delitti» Corriere della Sera 14 ottobre 2001
  10. ^ Uno bianca: Pietro Gugliotta torna libero per fine pena. ansa.it, 25 luglio 2008. URL consultato il 27-07-2008.
  11. ^ " ma non ammanettatemi davanti ai miei " Corriere della Sera 30 novembre 1994