Fatti dell'11 marzo 1977

Con fatti di Bologna del 11 marzo 1977, si intendono i gravi scontri di piazza occorsi a Bologna tra studenti di Comunione e Liberazione e della sinistra extraparlamentare durante i quali venne ucciso Francesco Lorusso, studente in Medicina e Chirurgiae militante di Lotta continua.

Il casus belli: l'assemblea di Comunione e Liberazione

Intorno alle 10:00 dell'11 marzo 1977 a Bologna, il movimento di Comunione e Liberazione (CL) indisse un'assemblea in un'aula presso l'università, cui presenziarono circa 400 persone. Alcuni studenti della facoltà di medicina, attivisti della sinistra extraparlamentare, tentarono di entrare nell'aula dove si svolgeva la riunione, ma furono violentemente respinti dal servizio d'ordine di CL. La notizia dell'indizione dell'assemblea di Comunione e Liberazione si sparse rapidamente e cominciarono ad affluire persone contrarie, poco dopo un più folto gruppo di persone dell'area di Autonomia Operaia, sopraggiunsero sul luogo e diedero vita ad una rumorosa contestazione a base di slogan come: "Barabba libero" e "Seveso, Seveso". Gli aderenti all'assemblea si barricarono nell'aula.

Il direttore dell’Istituto di Anatomia, il prof. Cattaneo, che quella mattina si trovava al primo piano, constatata la situazione di pericolo, informò di quel che succedeva il Rettore Rizzoli, il quale s’impegnò a chiamare le forze dell’ordine. L'appello del Rettore alle forze di polizia di intervenire venne prontamente raccolto e, in breve tempo, giunse sul luogo un notevole contingente di carabinieri, che effettuando una violenta carica contro gli studenti di sinistra "assedianti", consentì agli studenti di Comunione e Liberazione "assediati" di lasciare incolumi l'assemblea.

L'intervento massiccio delle forze dell'ordine fece salire ulteriormente la tensione già elevata, il che scatenò una reazione violenta dei giovani della sinistra extraparlamentare. Gli scontri di piazza si estesero a tutta la zona universitaria e nelle zone circostanti.

I primi scontri con le forze dell'ordine

Gli scontri con le forze dell'ordine si estesero a macchia d'olio e si intensificarono con la comparsa di bottiglie molotov lanciate dai dimostranti. In particolare in quel frangente un carabiniere di leva, Massimo Tramontani, evidentemente non preparato ad affrontare simili situazioni, fece deliberatamente uso delle armi in dotazione senza ricevere la dovuta autorizzazione dai propri superiori. In particolare il carabiniere sparò ben 12 colpi del suo fucile Winchester al crocevia con via Bertoloni, dopo che una bomba molotov colpi una Fiat 127 della polizia. Secondo le testimonianze di alcuni agenti di Pubblica Sicurezza in quella situazione particolare non vi erano gli estremi operativi per l'utilizzo delle armi, e uno dei testimoni affermò di aver visto il Tramontani sparare ad altezza d'uomo. Secondo il giudice però "in quel luogo era in atto una vera e propria sommossa, una guerriglia urbana ben organizzata, dato il numero degli aggressori e delle armi a loro disposizione", cosa che, nella circostanza di una affermata mancanza di adeguata difesa da parte degli agenti, giustificava il Tramontani nell'uso del suo fucile in dotazione. Questa posizione del procuratore però sembra non tenere in giusta considerazione la testimonianza di agenti di PS presenti in loco che dichiararono l'assoluta mancanza di necessità di utilizzo delle armi in dotazione, alla luce della prassi delle operazioni di ordine pubblico e sulla base della loro esperienza. [1]

L'attacco alla colonna dei carabinieri

In una fase successiva degli scontri un'autocolonna dei carabinieri in marcia fu attaccata in Via Irnerio. L'autocarro di testa, guidato dallo stesso carabiniere che aveva sparato i colpi di fucile all'altezza di via Bertoloni, fu colpito nella parte anteriore sinistra da una molotov che incendiò l'abitacolo. Il carabiniere Massimo Tramontani rimase illeso grazie alla posizione di guida a destra dell'autocarro. Preso dal panico balzò a terra dalla portiera destra, lasciando il mezzo senza guida fermarsi autonomamente. Il carabiniere a quel punto, ancora sotto attacco, estrasse l'arma d'ordinanza ed esplose 6 colpi contro un gruppo di manifestanti. La sera stessa del giorno 11 marzo, alle ore 20.50, il carabiniere Massimo Tramontani fece una dichiarazione spontanea sui fatti al sostituto procuratore Ricciotti.

Diversi testimoni presenti alla scena, tra i quali i lavoratori della Zanichelli, riferirono di aver visto un uomo in divisa senza bandoliera esplodere una serie di colpi di pistola ad altezza d'uomo e in rapida successione appoggiando il braccio armato su un'auto parcheggiata per meglio prendere la mira contro i manifestanti in direzione di Via Mascarella.

L'uccisione dello studente Francesco Lorusso

 
Francesco Lorusso a terra colpito dal proiettile

Lo studente Francesco Lorusso, militante di Lotta Continua, cadde in Via Mascarella, ucciso da un proiettile in occasione degli scontri.

Per il mancato ritrovamento del proiettile non si poté fare una perizia balistica per individuare né l'arma né il calibro della stessa.

Per l'omicidio Lorusso venne indagato il carabiniere Massimo Tramontani che in quella occasione sparò 6 colpi con la sua pistola d'ordinanza. Per la mancanza di prove che accertassero la precisa responsabilità dell'omicidio, il carabiniere venne prosciolto.
Furono effettuate indagini anche nei confronti di dimostranti visti armati in via Mascarella, ma non furono identificati.

La reazione del movimento all'omicidio Lorusso

Blindato e polizia in assetto antisommossa avanzano nel centro di Bologna

La notizia della morte di uno studente del movimento si diffuse rapidamente e ne seguì l'affluire di migliaia di persone vicine alla sinistra extraparlamente verso l'Università e l'organizzazione di un corteo di protesta, non autorizzato, che prese avvio nel primo pomeriggio e fu subito disperso con violente cariche. Una parte dei manifestanti si diresse allora verso la stazione ferroviaria centrale, occupandone i binari e scontrandosi con la Polizia intervenuta a rimuovere il blocco, mentre altre frange occuparono il centro storico infrangendo tra l'altro numerose vetrine di esercizi commerciali. Bologna visse una giornata tragica, all'insegna della guerriglia urbana con lancio di bombe, di un omicidio, del ferimento con armi da fuoco di un carabiniere.

In risposta alle proteste ed ai gravi disordini scoppiati in città, il Ministro dell'InternoFrancesco Cossiga, dispose l'invio di mezzi blindati nelle strade del centro di Bologna, finendo così per accentuare lo scontro politico, vista la profonda impressione suscitata nell'opinione pubblica nell'avere - nel cuore della "capitale" dell'Emilia rossa - cingolati per il trasporto truppe che furono generalmente percepiti e descritti come "carri armati".

Gli scontri nei giorni successivi

Blindato fermo in una via di Bologna

Tutte le iniziative di protesta lanciate nei giorni successivi furono duramente represse, anche attraverso l'esecuzione di numerosi arresti e fermi di polizia. Ne furono vittime, tra gli altri, anche gli animatori di Radio Alice, emittente legata al movimento studentesco e all'area dell'Autonomia Operaia, chiusa manu militari dalla Polizia.

Il giorno dopo l'omicidio Lorusso, 12 marzo 1977, venne indetta a Roma una grande manifestazione di protesta contro la repressione. Tale manifestazione, per la tensione e la rabbia accumulate nelle ore precedenti, sfociò in violenti scontri di piazza e gravi episodi di guerriglia urbana, caratterizzati da assalti e dal lancio di bombe molotov contro banche, esercizi commerciali, ambasciate, comandi delle Forze dell'ordine e sedi della DC, considerata politicamente responsabile della situazione causata dall'intervento a difesa dell'assemblea di Comunione e Liberazione. Vennero segnalati anche scontri a colpi d'arma da fuoco, ma fortunatamente non si registrarono nuove vittime.

La frattura tra movimento e sinistra istituzionale

Un tentativo effettuato da militanti del movimento studentesco e della sinistra extraparlamentare di coinvolgere nella protesta i Consigli di Fabbrica e la Camera del Lavoro fu reso non praticabile dall'emergere di una frattura di notevole profondità a seguito della dura presa di posizione manifestata dalle organizzazioni e dai partiti della sinistra storica contro la violenza attuata dai manifestanti. Tale frattura si rese particolarmente evidente a seguito del forte appoggio fornito dal PCI alla manifestazione contro la violenza tenutasi a Bologna il 16 marzo successivo, organizzata dai sindacati confederali con l'adesione, tra gli altri, anche della DC, partito individuato dal movimento studentesco come responsabile politico dell'assassinio di Lorusso, durante la quale fu impedito al fratello dell'ucciso di intervenire dal palco.

Ai primi di aprile, in risposta ai fatti di Bologna, esce il numero 17/18, della rivista Rosso con la sua copertina provocatoriamente più famosa: una fotografia di giovani mascherati, con casco, pugni levati e spranghe e sotto il titolo del numero: Avete pagato caro... Non avete pagato. tutto! La magistratura bolognese apri' una inchiesta per istigazione a delinquere. [2]

Note

  1. ^ Testimonianza del capitano del VII reparto Celere di PS Massimo Bax.
  2. ^ cronologia del '77 MAGGIO

Voci correlate

Bibliografia

  • AA.VV, Bologna marzo '77 ... fatti nostri..., Bertani Editore, 1977.
  • Luigi Amicone, Nel nome del niente, Rizzoli, 1982.
  • Concetto Vecchio, Ali di piombo, BUR, 2007

Collegamenti esterni